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Get Your Kicks On Route 66!

Get Your Kicks On Route 66!

Get Your Kicks On Route 66!

Non esiste luogo o viaggio più mitizzato. Tutti gli amanti delle due ruote considerano la Mother Road una sorta di consacrazione. Easy Rider, Hollywood o musica che sia, la Route 66 è ancora oggi una leggenda. E le ragioni sono molte, come è facile capire percorrendo le 2.400 miglia che separano Chicago da L.A., a caccia di emozioni.

Route 66: la Madre di tutte le Strade, il sogno di tutti i motociclisti e di tutti i viaggiatori, una leggenda a pieno titolo. La highway che unisce Chicago a Los Angeles non ha solo ispirato centinaia di scrittori, musicisti e registi; ha anche aiutato molti americani a conoscere il loro stesso Paese, che alla fine degli anni 20, quando la Strada fu inaugurata, aveva pochi decenni di vita e si stava ancora sviluppando. Con il boom degli anni ’50 la strada assunse il valore commerciale del quale ancora abbiamo percezione e la Route 66 rimane il simbolo stesso del viaggio alla conquista della libertà, verso Ovest. Quello sulla Route 66 è dunque un viaggio nel tempo ancora prima che nello spazio, alla scoperta dell’America profonda.

 Il percorso della Route 66 attraversa otto Stati (Illinois, Missouri, Kansas, Oklahoma, Texas, New Mexico, Arizona e California) e quattro fusi orari prima di concludersi a Los Angeles, davanti all’Ocean Pacifico. Non è esattamente un Coast to Coast, ma rimane fuori davvero ben poco. Il viaggio comincia a Chicago, bellissima città adagiata sulla sponda occidentale dello smisurato Lago Michigan, praticamente un mare. È in quel contesto urbano che inizia la Route 66. Oggi fra Jackson Blvd e Michigan Avenue, agli albori della strada fra Clark e Ogden Street.

 La Route 66 da sempre ha i suoi riti e uno è l’immancabile colazione da Lou Mitchell, perfetto preludio alla cavalcata sulla strada più famosa del mondo.

Attraversata la periferia di Chicago e usciti dalla fascia urbanizzata, la strada inizia a mostrare la sua natura, attraverso una serie di paesini dove il tempo sembra essersi fermato. Joliet, Pontiac e così fino a Springfield, la città di Abraham Lincoln, dove è d’obbligo la visita al mausoleo dedicato al grande Presidente. Lungo il percorso, si passa dai rimandi ai Blues Brothers alle vestigia di un passato ancora vivissimo. In effetti, ben presto capiamo perché la Route 66 venne chiamata The Main Street Of America: in effetti, nella sua stesura originale, non faceva altro che collegare le strade principali dei paesini che attraversava, diventando così, appunto, una lunghissima, interminabile Main Street che attraversava l’intera nazione.

 La tappa successiva porta da Springfield a… Springfield! Stesso nome, ma due città diverse e due stati diversi, Illinois e Missouri; in mezzo una serie infinita di curiosità, luoghi di interesse e cittadine da scoprire. In effetti, oggi la Route 66 è mille cose diverse: è la pavimentazione originale che ancora si può percorrere, perché ben conservata, oppure è una larghissima strada fra stazioni di servizio e installazioni commerciali che ha preso il posto della vecchia via, fagocitata dall’allargamento delle periferie delle città maggiori. Oppure è un nastro d’asfalto che improvvisamente si degrada e finisce nella sabbia e nelle sterpaglie… Road Closed, o Road Ends, recitano i cartelli che ci si parano davanti all’improvviso.. Per questo il viaggio sulla 66 è avventura e va interpretato, giorno dopo giorno.

 Nella sezione fra le due Spingfield la 66 regala alcune delle gemme più preziose. Spicca certamente St. Louis, città unica anche per una caratteristica: a St. Louis si incrociano infatti la Route 66 e la Highway 61, la Strada del Blues, l’altra strada più famosa d’America. Visita d’obbligo al bellissimo Chain of Rocks Bridge, caratteristico ponte in ferro e pietra sul Mississippi, il grande fiume che domina la regione. Il ponte è uno dei luoghi simbolo della 66. Lascia infine senza parole la vertiginosa altezza del Gateway Arch, simbolo della città, anch’esso affacciato sul Grande Fiume, segno di fratellanza fra le genti.

 Lasciata la città, la strada si immerge nelle meraviglie del paesaggio del Missouri. Dalle Meramec Caverns, rifugio del leggendario bandito Jesse James, alle bellissime Ozark Hills, tra i quali la strada diventa un nastro di asfalto irregolare sperduto nella boscaglia, che attraversa fiumi e costeggia falesie di roccia. È esattamente quanto accade a  Devil’s Elbow, il Gomito del Diavolo, un nome un programma, esattamente come il ponte in ferro che porta oltre il Big Piney River: la Route 66 nella sua quintessenza, da scovare lontano dai clamori e che sa regalare emozioni vere. Come quelle delle birre servite dalle ragazze dell’Elbow Inn..

 Missouri, Kansas, Oklahoma, Texas: questi sono gli stati nei quali la Route 66 assume l’aspetto che corrisponde all’immaginario di tutti i viaggiatori: una strada che attraversa campi infiniti e villaggi nei quali il tempo si è fermato. Così, fra città famose per essere state oggetto di rapina in svariate occasioni e insolite installazioni come il celebre Round Barn rosso di Arcadia, si fa un vero e proprio “pieno” di 66. E poco prima di lasciare l’Oklahoma (gente simpatica, bei locali e open road) ecco Clinton e il suo Route 66 Museum. Un tuffo nella storia della strada e della nazione americana, circondati da ricostruzioni di scene di vita dei decenni trascorsi e da meravigliose auto e moto degli anni ‘40, ‘50 e ‘60… Da perdere la testa!

 Poi, arriva il Texas. Dove tutto è più grande. Dove non si riesce a vedere la fine dell’orizzonte. Dove il verde sconfinato delle praterie si fonde con il blu del cielo. Il Texas è anche una meravigliosa tavolozza di colori. Come quando il cielo si accende di tramonti infuocati degni della mano e dell’estro di un pittore… È quindi con un appagante senso di viaggio senza fine che si mangia la bistecca del Big Texan ad Amarillo, the Cowboy Town, nel saloon più divertente e chiassoso della 66…

 Lasciata Amarillo  si arriva ad uno – l’ennesimo! – dei luoghi simbolo della 66, che solo il Texas poteva offrire. In quale altro stato, infatti, si potrebbe trovare un Cadillac Ranch? Una serie di Cadillac infilate nella terra e dipinte nei colori più insoliti. Un autentico monumento modernista e surrealista al mito della strada. Ma prima di arrivare al confine con il New Mexico, il Texas un’altra importante sosta sulla 66. Ad Adrian, infatti, si incontra il Mid Point Cafè, costruito esattamente a metà strada: a 1139 Miglia da Chicago e a 1.139 Miglia dalla meta L.A. Foto e souvenir d’obbligo, che diamine…

 Si riparte per entrare in New Mexico. Il territorio cambia, diventa più ondulato e riposante. Puntando verso Nord e seguendo la Old Pecos Trail si trova il percorso originale della Route 66, che comprendeva anche la elegante Santa Fe. La strada sale e si sviluppa fra boschi e paesaggi incantati, prima di arrivare nel centro della raffinata cittadina simbolo del Nuovo Messico. Usciti da Santa Fe, non si può non percorrere la Turquoise Trail, sia per la bellezza della strada sia per visitare Madrid, delizioso paesino sulla strada diventato famoso per un film che ha spopolato fra i bikers di tutto il mondo: The Wild Hogs, in Italia Svalvolati On the Road. Poi, tocca ad Albuquerque con il mercatino della Old Town e Gallup, prima di entrare in Arizona. E intanto, la strada inizia a incontrare le rocce rosse, la nota dominante dell’Ovest americano.

 Oltrepassato il confine, l’Arizona orientale offre lo spettacolo della Petrified Forest e del Painted Desert. Arrivando a pomeriggio inoltrato, si approfitta della luce infuocata delle ore che precedono il tramonto. Risaltano così al meglio le varie gradazioni metalliche che fanno assumere alle rocce del Deserto Dipinto i colori più disparati, dal rosso al blu, dal bianco al verde. Le 28 miglia della strada che attraversa il parco portano a contatto con gli insoliti tronchi d’albero pietrificati dell’omonima Forest. Sono reperti che testimoniano dell’importanza archeologica del sito,  nel quale si trovano anche fossili di alcune delle più antiche specie di dinosauri. La lunga giornata si conclude a Holbrook, sonnacchiosa cittadina della Old Route 66, nella quale si trova l’hotel più originale che si possa immaginare. Mai dormito in una tenda indiana? Ebbene, sulla 66 si può fare anche questo, ammirando i colori del tramonto e ascoltando il possente fischio dei treni della Santa Fe… Una cartolina che non ha eguali.

 La Route 66 in Arizona è stata in gran parte soppiantata dall’Autostrada, la Interstate 40. Ma nei paesini e in alcuni tratti nella parte occidentale dello stato, è perfettamente conservata, grazie all’opera di una associazione che l’ha valorizzata negli anni, e regala gemme come nessun’altra sezione della strada. È il caso di Winslow, dove è d’obbligo la foto ricordo al famoso corner cantato nel brano degli Eagles, Take It Easy. O Williams, altra cittadina-simbolo della Route 66. Il paesaggio cambia drasticamente, passando dalla prateria a una ricca vegetazione di tipo montano (quella della Coconino National Forest), accompagnata da un intenso profumo di conifere. È da qui che partono i treni diretti a Grand Canyon. E si punta dunque a Nord per raggiungere una delle meraviglie del pianeta. E quando si arriva al South Rim, il bordo Sud del Grand Canyon, sul quale si apre una serie di spettacolari punti di osservazione panoramici, la vista è mozzafiato e lascia con il groppo in gola, tale è l’emozione.

 Dopo aver reso omaggio alla maestosa bellezza del Grand Canyon, si punta a Sud, lungo un rettilineo d’asfalto che raggiunge di nuovo l’area di Williams prima di scendere verso il piano, dove sono la prateria e il deserto a prendere il sopravvento. L’Interstate 40, dove dominano i giganteschi trucks porta verso Ovest e conduce a Seligman, cuore della Mother Road, con il celebre Angel Delgadillo a fare gli onori di casa del suo store-barber’s shop. Una figura mitica simbolo della 66. Dopo la simpatia di Angel, il viaggio continua toccando Hackberry, la stazione di servizio dove il tempo si è fermato, e arrivando a Kingman, regno incontrastato dei treni della Santa Fe.

 Lasciata Kingman, i rettilinei infiniti lasciano posto a una tortuosa e stretta strada di montagna che, superato il Sitgreaves Pass, porta a Oatman. Da queste montagne i pionieri potevano quasi scorgere la agognata meta del loro viaggio. Ma partendo da Oatman occorre tirare un profondo respiro e prepararsi ad attraversare l’aria torrida e infuocata del Mojave Desert. È il tratto di strada che conduce in California, lo stato americano più mitizzato dove si trovano altre icone della 66, come lo spettrale e mitico Roy’s Café, immerso nella distesa rovente del deserto.

 Un’ultima sosta a Barstow, e poi tocca a Los Angeles, la fine del viaggio. La meta è la costa, e precisamente il molo di Santa Monica, dove finisce oggi la 66. È l’epilogo ideale dell’avventura di tanti pionieri, l’inizio del California Dream, il simbolo stesso del sogno americano, degno omaggio alla storia infinita della più celebre delle strade.

La Mappa

Stati

Nevada
Arizona
Utah

I numeri

  • 11 giorni
  • 8 giorni di noleggio moto
  • 1.520 Miglia (2.445 km) di percorrenza

Luoghi di interesse

Monumento 1

Monumento 1

Arizona. Heaven and Hell!

Arizona. Heaven and Hell!

Arizona. Heaven and Hell!

Dall’Inferno delle strade infuocate del deserto del Mohave al Paradiso delle terre sacre degli indiani Navajo, passando dalla Route 66: ecco un viaggio per andare in sella a una moto nel cuore del mito americano on the road.

Può sembrare difficile immaginare un viaggio in moto che in dieci giorni porti dritto al cuore dell’America on the road attraversando alcuni dei luoghi più mitizzati dai biker di tutto il mondo: Las Vegas, Grand Canyon, Monument Valley, la Route 66… Eppure e così: bastano 7 giorni in sella ad una moto e alcune delle meraviglie del pianeta potranno essere immortalate dall’obiettivo del vostro cuore e far parte del vostro bagaglio di esperienze.

Da Las Vegas, la capitale del gioco e di tutti i vizi, iniziare il nostro percorso. Se è vero che Vegas offre il meglio di sé di notte (non dimentichiamoci che Las Vegas è Sin City, la città del peccato), durante il giorno si può comunque curiosare di qua e di là, andando a vedere hotel celebri e celebrati come il Venetian, Il Bellagio, il Luxor o il Caesar’s Palace con tutte le loro attrazioni. Oppure, si può andare ad ammirare la pepita più grande del mondo nei locali del Golden Nugget, sulla Fremont Street, aspettando magari quella che viene definita Experience, uno show luminoso prodotto dall’accendersi a tempo di musica di milioni di lampadine piazzate su una volta artificiale che copre il corso. Una volta da quelle parti, è d’obbligo salire sulla vertiginosa Stratosphere Tower, dalla quale si gode di una magnifica vista sull’intera città.

Ma Las Vegas è soprattutto la base di partenza del viaggio negli spazi sterminati dell’Ovest. Lasciata la città e attraversata la Hoover Dam, la gigantesca diga sul lago Mead che garantisce a Las Vegas il suo fabbisogno di energia elettrica, si prosegue verso Kingman tagliando l’infuocato deserto del Mojave. Arrivati a Kingman si inizia dunque ad avere a che fare con le vestigia più importanti della Historic Route 66, the Mother Road, la madre di tutte le strade. La ferrovia della mitica compagnia Santa Fe da quel momento diventa una compagna di viaggio pressoché costante.

Attraversata Kingman, sempre sulla Historic Route 66, alcune soste sono d’obbligo: come ad Hackberry, la città fantasma e stazione di servizio che riporta indietro nel tempo; ovSeligman, cuore della Mother Road, con il celebre Angel Delgadillo a fare gli onori di casa del suo store-barber’s shop. Una figura mitica, simbolo stesso della Route 66, autentica memoria storica della 66.
Dopo Seligman, si lascia la 66 per entrare nella Intestate 40. Le moto sfidano i giganteschi trucks fino a raggiungere Williams, la porta del Grand Canyon. Avvicinandosi alla cittadina, il paesaggio cambia, passando dalla prateria ad una ricca vegetazione di tipo montano (quella della Coconino National Forest), accompagnata da un intenso profumo di legna e di conifere. A Williams, autentica home town della Route 66, ci si può fermare per la notte. Il piccolo centro, nel quale il tempo sembra essersi fermato, è tranquillo e accogliente. L’ideale per fare sosta e gustarsi una bistecca e ottima birra alla Wild West Junction, dove si può anche godere di ottima musica live.

L’indomani la strada punta verso Nord. È in quella direzione che si raggiunge il bordo meridionale del Grand Canyon. La South Rim Drive, che costeggia il canyon, offre una serie di spettacolari punti di osservazione panoramici. La vista è mozzafiato e lascia con il groppo in gola, talmente grande è l’emozione. Servono parecchi minuti per riaversi e per avere l’esatta percezione delle dimensioni di questa meraviglia della natura, frutto dell’azione di erosione del Colorado e degli agenti atmosferici. La luce del tramonto accende una emozionante tavolozza di colori, il giusto prologo allo spettacolo in programmazione al Grand Canyon Theater, a Tusayan: un filmato sulla storia del canyon e delle esplorazioni che vi si sono susseguite. La particolarità è che la proiezione avviene su schermo IMAX, con un livello di definizione delle immagini e di coinvolgimento dello spettatore tale da provocare un senso di vertigine in alcuni dei passaggi più arditi. E on’ottima bistecca, dopo una giornata ricca di emozioni, è quanto di meglio si possa chiedere per andare a dormire con la sensazione di aver vissuto una giornata davvero indimenticabile.

Il mattino dopo, lasciato il Grand Canyon in direzione est, rotta verso la Monument Valley. Ma prima, il Trading Post di Cameron aspetta i suoi visitatori con una quantità incredibile di oggetti e di prodotti di artigianato indiano. Una sosta da non mancare. Siamo ormai alle porte della riserva dei Navajo, Dineh, Il Popolo, il vero nome dei Navajo nella loro lingua). Una volta a Kayenta, infilata la 163, ben presto si scorgono segni inequivocabili dell’imponenza della valle sacra dei Navajo. L’arrivo scatena le emozioni più violente. In sella alla moto ci si ritrova in piedi, attaccati al manubrio, a urlare di gioia, o ad allargare le braccia nella incredulità più disarmante… Giusto il tempo di fermarsi e scrollarsi la polvere di dosso, è tempo di saltare a bordo di un pick-up delle guide Navajo. Per capire fino in fondo che cosa sia la Monument Valley, infatti, la cosa migliore è percorrere la pista sterrata di circa 17 miglia che si snoda ai piedi di mesas, buttes e pinnacoli. Gli spazi sterminati, la sacralità delle guglie, i colori delle rocce, i canti dei Navajo, ma anche il senso di morte trasmesso dallo sfaldarsi delle rocce, provocano nel visitatore un inarrestabile accavallarsi di suggestioni. E quando si arriva all’Artist’s Point, l’immensità della vista lascia senza parole. Tornano alla memoria le immagini più celebri fra le tante girate nella valle sacra dei Navajo, quelle che John Ford realizzò per Stagecoach, Ombre Rosse, forse la pellicola più famosa del regista americano (non a caso, uno dei punti segnalati lungo la pista è proprio il John Ford’s Point). Al di là della retorica tutta holliwoodiana di quel film, quei guerrieri all’inseguimento della diligenza, lanciati al galoppo e al tempo stesso intenti a caricare il fucile, sono sequenze di una forza dirompente.
Proseguendo verso nord sulla 163, ad un certo punto occorre fermarsi e voltarsi indietro. La natura offre agli occhi umani uno degli spettacoli più maestosi che si possano immaginare: una strada infinita che si perde all’interno della valle, fra la maestosità delle guglie. Indimenticabile, come immancabile la foto.

Dopo la Monument Valley, l’indomani la strada riporta verso sud, dove si trova uno dei luoghi che hanno maggiormente segnato la storia della nazione Navajo: il Canyon de Chelly. Un luogo di straordinaria bellezza come appare da alcuni dei punti panoramici ricavati lungo le Rim Drives, teatro però di drammatiche vicende che opposero i Navajo che abitavano il canyon alle truppe del generale Kit Carson, con l’assedio degli indiani all’interno del canyon, la devastazione di tutti i loro insediamenti e la deportazione dei superstiti nel New Mexico. E ancora oggi il Canyon de Chelly è popolato dai discendenti di quelle tribù e le loro abitazioni sono visibili scendendo al fondo del canyon, facendo bene attenzione a evitare le terribili sabbie mobili che si incontrano lungo il percorso.

Lasciato il Canyon de Chelly, l’Arizona orientale offre lo spettacolo della Petrified Forest e del Painted Desert. Arrivando a pomeriggio inoltrato, si approfitta della luce infuocata delle ore che precedono il tramonto. Risaltano così al meglio le varie gradazioni metalliche che fanno assumere alle rocce del Deserto Dipinto i colori più disparati, dal rosso al blu, dal bianco al verde. Le 28 miglia della strada che attraversa il parco portano a contatto con gli insoliti tronchi d’albero pietrificati dell’omonima Forest.
La giornata volge al termine; guidando verso un accecante sole del tramonto, c’è giusto il tempo di arrivare a Holbrook, sonnacchiosa cittadina sulla Route 66, per finire la giornata. Un posto nel quale il tempo si è fermato. Del tutto naturale, dunque, parcheggiare la moto davanti a un teepee in muratura, la stanza per la notte… Mai dormito in una tenda indiana? Ecco, qui si può… Anzi, si deve!

Il giorno successivo, la strada da Holbrook conduce di ritorno a Kingman. Sul percorso vale la pena fermarsi al Meteor Crater (una gigantesca cavità provocata dalla caduta di un asteroide sulla terra, circa 50.000 anni fa) o a Winslow per scattare una foto al famoso corner cantato nel brano-simbolo degli Eagles, Take It Easy.

Da questo punto, fin quasi alla conclusione del viaggio, è la Historic Route 66 a dominare la scena. Anche quando, il giorno dopo, lasciata Kingman, si affronta una strada davvero insolita per il suolo americano: dopo centinaia di miglia di rettilinei a perdita d’occhio, ci si inerpica infatti su un nastro d’asfalto tortuoso, stretto e scivolso che, oltre il Sitgreaves Pass, porta fino a Oatman. Da queste montagne i pionieri potevano scorgere la piana del deserto del Mojave californiano, sentendosi ormai vicini alla agognata méta del loro viaggio. Ma prima, Oatman vale la pena di una sosta per fare un balzo indietro nel tempo e una carezza ai simpatici asinelli che popolano il paesino.
Da Oatman non resta che chiudere il cerchio. Ma serve un ultimo sforzo di volontà e resistenza fisica per affrontare la distesa infuocata del Mohave Desert. Aria bollente che scotta la pelle e brucia la gola. Da Laughlin fino a Las Vegas, che sancisce la fine del viaggio. Ma non certo della memoria, che come il volo dell’Aquila sul Grand Canyon, sempre veglierà sullo spirito di chi ha scelto di vivere le emozioni dell’Arizona.

La Mappa

Stati

Nevada
Arizona
Utah

I numeri

  • 11 giorni
  • 8 giorni di noleggio moto
  • 1.520 Miglia (2.445 km) di percorrenza

Luoghi di interesse

Monumento 1

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